La Chiesa di S. Matteo fu edificata tra il 1667 e il 1700 per conto delle Terziarie Francescane in sostituzione dell’antica cappella di S. Matteo, ormai piccola e in mediocri condizioni, a cui era stato annesso il loro convento. Come ci informa Giulio Cesare Infantino, autore della Lecce sacra stampata a Lecce nel 1634, il convento fu fondato dalla gentildonna leccese Audisia de Pactis, vedova di Carlo Maremonti fratello secondogenito del Barone di Campi, la quale adibì a convento la sua casa unita alla piccola cappella. Nel 1474, ormai morta Audisia, la Superiora Suor Maria di Corono e le suore chiesero al Sommo Pontefice Sisto IV l’approvazione del loro convento, ottenuta con Breve Apostolico spedito per mano dell’Abate Nicolò Torrisio di Lecce, Arcidiacono della Cattedrale. Al convento, da dove le suore potevano liberamente uscire per ascoltare la messa e confessarsi presso la Chiesa Cattedrale o presso le Chiese dei Padri di S. Francesco dell’Osservanza, fu poi imposta la clausura ai tempi di Suor Porzia del Duce, come si leggeva in una iscrizione posta a destra dell’altare maggiore dell’antica cappella che così si esprimeva:
C(hristo) D(ei) S(ervatori) / Portia Ducia Sacerdos Christi Dei Servatoris, castitatis perpetuæ, / voti Religione obstricta, quod præfecta contubernalium Sacerdo- / tumq(ue) eius voti religione tenerentur, earum religionem, et Sacer- / dotalis contubernii societatem, ab Audisea Pactia iam pridem / apud Matthæi fanum hoc, paulo lenioribus legibus institutam / severioribus vinculis astringendam, sanctimoniamque adaugen- / dam duxerit (per duxerat), aditibus ha-rum ædium præclusis, adempta, et recisa / exeundi in perpetuum potestate
Ossia: Al Cristo di Dio Salvatore, Porzia del Duce consacrata al Cristo di Dio Salvatore, legata con sacro vincolo al voto di castità perpetua, poiché, messa a capo delle compagne e delle consacrate, esse erano obbligate al sacro vincolo del suo voto, aveva considerato che il loro vincolo religioso e la loro società di convivenza consacrata, istituita già prima da Audisia de Pactis presso questo tempio di (San) Matteo con leggi un po’ più indulgenti fosse obbligata a vincoli più severi e fosse accresciuta la santità, chiusi gli accessi della loro casa, tolta ed eliminata in perpetuo la facoltà di uscire.
Ciò avvenne prima del 1628, quando il Visitatore Apostolico Mons. Andrea Perbenedetti, Vescovo di Venosa, si recò a visitare il convento ad a ricevere dalle suore la rinnovazione dei voti.
Il De Simone afferma che il monastero fu soppresso nel 1807 e, con i decreti del 21 aprile 1813 e del 6 novembre 1816, l’edificio fu concesso al Comune per collocarvi l’Archivio Provinciale, la Casa Municipale e le Pubbliche Scuole. Tuttavia, precisa che non è certo se sia stato adibito per questi usi e che in parte fu demolito. Il fabbricato superstite comprende le stanze retrostanti l’altare maggiore, da cui le suore assistevano alla Messa celate dietro le grate ancor oggi visibili, la Canonica ad esse collegata attraverso un raffinato ballatoio coperto e qualche altra sala. Dell’antica cappella, adiacente alla Canonica, sono ancora visibili, esternamente, i resti del prospetto caratterizzato da archetti ciechi e da un piccolo portale sormontato dallo stemma francescano; internamente, tracce di affreschi coperti da uno spesso strato di intonaco e sulla volta lo stemma della famiglia Perrone – del Duce (d’azzurro al bue passante d’argento accompagnato in capo da una crocetta d’oro – spaccato; nel primo di rosso col lambello a tre pendenti d’oro; nel secondo bandato d’oro e d’azzurro).