Alla confluenza di uno stretto quadrivio costituito dalle vie dei Perroni, Federico d’Aragona, quella per la Piazzetta Regina Maria e del Palazzo dei Conti di Lecce si erge il sofisticato prospetto della Chiesa di S. Matteo.
Diversi autori hanno evidenziato l’analogia del rapporto convesso-concavo tra il nostro prospetto e quello della Chiesa romana di S. Carlo alle Quattro Fontane e, dunque, l’influenza di Francesco Borromini sull’artefice della facciata di S. Matteo: l’informato quanto controverso Achille Larducci.
Altri autori hanno ravvisato rimandi a Guarino Guarini, in particolare al progetto per la porta del Po a Torino pubblicato nel “Trattato dell’Architettura”, all’interno della Chiesa torinese di S. Lorenzo e alla perduta Chiesa dell’Annunziata a Messina.
Il prospetto si compone di due ordini distinti eppur collegati e di un fastigio che li sovrasta e conclude. Ciascun ordine è a sua volta scandito verticalmente in tre sezioni: quello inferiore mediante due colonne al centro e due paraste lisce ai lati, quello superiore mediante due paraste scanalate al centro e due paraste decorate ai lati, tutte poggiate su alti zoccoli e coronate da capitelli.
Nella sezione centrale dell’ordine inferiore, lavorata a scaglie e con profilo convesso, si apre il portale arricchito da ampie volute laterali terminanti con mascheroni e sormontato da una nicchia vuota affiancata a sua volta da due volte con fioriere e concluso da un timpano interrotto in mezzo al quale è inserito uno scudetto coronato con lo stemma dell’Ordine Francescano. Delle due colonne che inquadrano questa sezione quella a sinistra è liscia, mentre quella a destra è per il primo quarto decorata a spirale.
Questo curioso particolare ha fatto nascere la leggenda secondo cui il diavolo, invidioso della bellezza del fregio cui si era dato inizio, avesse fatto morire tempestivamente lo scalpellino che la intagliava.
Le sezioni laterali, con parete bugnata, sono invece occupate da una nicchia vuota per parte. Sotto quella di destra, nello spazio compreso tra due volti barbuti, si legge un’epigrafe, finora mai riportata integralmente, che indica la data d’inizio della costruzione. Dice così:
Aloysius Pappacoda Lupiensium / Pontifex in hac D(ivi) Matthæi / apostoli s(acra) æde restituenda / primum la-pidem a se christiano / ritu sacru(m) pos(uit) an(no) reparatae sal(utis) 1667 / ipsis divi / solemniis
Vale a dire: Luigi Pappacoda Vescovo dei Leccesi in questo sacro Tempio di san Matteo apostolo da ricostruire, con rito cristiano pose lui stesso la prima sacra pietra nell’anno della restaurata salvezza 1667, nelle stesse solennità del santo (ossia il 21 settembre).
Un ballatoio ricurvo che corre per tutta la lunghezza della facciata sostenuto da modiglioni scanalati e sul quale forse si sarebbe dovuto far poggiare una balaustra, crea un ardito collegamento tra il primo ed il secondo ordine.
Quest’ultimo, tutto caratterizzato da parete liscia, è dominato nella sezione centrale, con profilo concavo, da un’elegante serliana evidenziata ancor di più dalla modanatura continua e dalle fioriere a tutto tondo che si appoggiano alle paraste.
Le sezioni laterali presentano invece una nicchia vuota per parte come al primo ordine. Sopra la flessuosa cornice, in corrispondenza delle tre sezioni, si elevano quattro pinnacoli, due per ogni lato del fastigio centrale, dove, evidenziata da una cornice centinata, si legge la seguente epigrafe dedicatoria che conferma la data di ultimazione della chiesa:
Divo Matthæo / apostolo evangelistæ / magno suo tutelari / templum maius invidia / votis tamen impar / moniales PP (posuerunt) MDCC
Ossia: A san Matteo apostolo evangelista, grande loro protettore, (questo) tempio più grande dell’invidia (che suscitò), tuttavia impari ai propositi, le monache eressero nel 1700.
Sul fastigio svetta infine un’alta croce in ferro.
Nel retro della chiesa si intravede il campanile a vela, notevolmente innalzato a seguito del rifacimento del soffitto, che sorregge due campane: la più grande risale al 1696 ed è opera di Gricelli di Lecce; la più piccola è moderna, realizzata nel 1946 dalla fonderia di Trani Giustozzi Nicola e figlio.