Interno della Chiesa

Più semplice e lineare si presenta l’interno della chiesa ad un’unica navata di forma ellittica che si estende per la lunghezza di 33 metri e per la larghezza massima di 15 metri circa. Scandiscono l’aula dodici grandi paraste scanalate coronate da capitelli a cui sono addossate le monumentali statue dei dodici Apostoli issate su alti plinti semicircolari. Queste statue, che in senso orario riproducono S. Simone, S. Tommaso, S. Bartolomeo, S. Giovanni, S. Andrea, S. Pietro, S. Paolo, S. Giacomo maggiore, S. Giacomo minore, S. Giuda Taddeo, S. Matteo, S. Filippo, furono scolpite nel 1692 da Placido Boffelli, come risulta dalla seguente epigrafe incisa sul lato esterno della colonna dove poggia la statua di S. Filippo:

Placidus Boffelli inventor et sculptor 1692

Cioè: Placido Boffelli ideatore e scultore 1692.

Di questo scultore di Alessano, nato il 27 maggio 1635 e morto il 27 gennaio 1693, viene altresì esaltata la maestria, enfaticamente paragonata a quella dello scultore greco Fidia, con un’altra epigrafe incisa sul fronte dello stesso cippo:

Ha[e]c duodena virum simulacra / in sede refulgent / cuius opus Phidiæ / vivit hic / in Placido

che in italiano si traduce: Queste dodici statue di uomini rifulgono in (questo) luogo. L’arte di quel Fidia sussiste qui in Placido.

 

Tra le paraste si aprono al di sotto di archi a tutto sesto finemente intagliati dieci brevi cappelle laterali a pianta rettangolare da cui sporgono leggermente nove altari barocchi riportati al loro originario splendore attraverso una recente opera di restauro, mentre nella terza cappella a destra è collocato sopra un arco ribassato l’artistico pulpito di legno intagliato e dorato fiancheggiato da quattro statue in pietra leccese raffiguranti Santità e Fede (a sinistra), Religione e Dottrina (a destra).

Sopra le cappelle si sviluppa tutto intorno un ballatoio con archi appaiati, forse in origine chiusi con grate da dove le monache assistevano alle funzioni religiose senza essere viste.

Una trabeazione continua evidenzia il secondo ordine scandito dalle solite paraste, sebbene di proporzioni più ridotte, che proseguono l’interrotto discorso fino alla cornice di coronamento. Tra le paraste, coppie di finestre in simmetria con i sottostanti archi del ballatoio che, in corrispondenza del presbiterio, diventano un’unica trifora riproducente l’analoga apertura in facciata: in tutto 18 finestre che gettano fiumi di luce all’interno della nostra Chiesa che insieme a quella dei Teatini è tra le più luminose della città.

Il moderno soffitto in cemento, che sostituisce quello antico in legno intagliato, fu realizzato insieme alla pavimentazione in marmo tra il 1903 e il 1904 per volontà dell’allora parroco monsignor Salvatore Pascali per risolvere i problemi di infiltrazioni (adottando purtroppo una soluzione drastica ed irreversibile).

A ricordo di questo parroco è posto al lato sinistro dell’ingresso un bassorilievo eseguito nel 1926 in occasione del suo 25° di governo con le seguenti iscrizioni:

 

MCMI – Giubileo – MCMXXVI / Mons. salvator Pascali / orfano adiutor misero auxiliatorerrantibusapostolus

Ossia: 1901 – Giubileo – 1926. Mons. Salvatore Pascali aiuto per l’orfano, sostegno per il povero, apostolo per i peccatori.

Queste parole fanno riferimento ad opere caritative promosse dal pio sacerdote quali la “Casa Bianca per gli orfani di guerra” e l’”Asilo Infantile per i figli del popolo”.

A fianco, un’altra lapide marmorea ricorda la consacrazione della Parrocchia al S. Cuore di Gesù con queste parole:

 

A.P.R.M. / Al Cuore Divino di Gesù / Re e Centro di tutti i cuori / Fonte di misericordia / la Parrocchia di Santa Maria della Luce / auspice Santa Rita da Cascia / il XXII maggio MCMXXXV / si stringe con nuovo patto d’amore / e solennemente / si consacra

 

Sempre nelle vicinanze non sfugge la presenza del fonte battesimale in marmo rosso collocato nel 1915 quando a partire dal 15 maggio si cominciò a battezzare, poiché in precedenza l’amministrazione del Battesimo era riservata solo alla Cattedrale.

Infine, iniziando la visita del tempio non si può non sollevare lo sguardo verso la cantoria lignea, a parapetto mistilineo suddiviso in pannelli delimitati da festoni continui a palmette e ornati, al centro, da motivi fitomorfi e conchiglie a rilievo. Su di essa si ammira lo scintillante involucro intagliato e dorato di un organo a tre campate. Realizzato nel 1735 da Carlo Sanarica di Grottaglie su disegno di Francesco Antonio Piccinni per la Chiesa di S. Croce, a seguito della soppressione dei Celestini fu traslato poco dopo il 1807 nel retrospetto della Cattedrale dove continuò a funzionare fino al 1910, anno in cui trovò definitiva collocazione presso la Chiesa di S. Matteo[1].

Esalta ancor più l’eleganza di questo perduto strumento l’affresco della parete retrostante scoperto nei recenti lavori di restauro raffigurante un finto tendaggio.


[1] E. Martinelli, Gli antichi organi di Terra d’Otranto. Il patrimonio organario delle archidiocesi di Lecce e di Otranto, Lecce 1992, pp. 73-74.